venerdì 23 gennaio 2009

Mi presento

Dirigente d’azienda con esperienze professionali acquisite presso Banco di Roma, società di consulenza KPMG, BNL, nella gestione e sviluppo delle risorse umane, nella pianificazione strategica, nel controllo di gestione, nei sistemi di qualità e di auditing. Socio fondatore ed attualmente presidente dell’Associazione Italiana di studio del lavoro per lo sviluppo Organizzativo (AISL_O www.aislonline.org ), unica filiazione nel Lazio di AISL.
Laureata in Scienze Statistiche ed Attuariali con specializzazione post-laurea in Ricerca Operativa e abilitazione all’esercizio della professione di attuario, ha partecipato come docente/relatrice a corsi universitari/formativi/ convegni e ha scritto articoli, pubblicati su riviste specializzate, concernenti la gestione e pianificazione delle risorse umane, il controllo direzionale, i sistemi di qualità totale e di revisione interna, i processi di cambiamento organizzativo, la responsabilità sociale d’impresa. Ha fatto parte del Comitato scientifico del Master in Responsabilità Sociale d’Impresa dell’Università Europea di Roma.
Nel 2005 è stata certificata dal CEPAS (Ente riconosciuto per la Certificazione delle professionalità e della Formazione www.cepas.it) ) come “esperto di organizzazione” e nel 2007 ha assunto l’incarico da parte del CEPAS di “Esperto dei Gruppi di Approvazione Settoriale Organizzazione Aziendale” Con il sito www.mariagraziadeangelis.it si è fatta promotrice di un forum sul disagio lavorativo e della competenze organizzative, gestionali e manageriali necessarie oggi per avere aziende di successo con risorse umane che vivano il lavoro come strumento di autorealizzazione e di soddisfazione.

L'Auditor, fra incudine e martello

Affinché il processo virtuoso innescato dal recepimento della Direttiva Europea su “Markets in Financial Instruments” possa procedere, è necessario che le funzioni aziendali di controllo siano in grado di promuovere un salto culturale che faccia assumere alle imprese il percorso nuovo da “persona giuridica” a “persona morale”.


Gli scandali finanziari che hanno interessato negli anni recenti lo scenario nazionale e internazionale hanno reso particolarmente ardua la conquista, talvolta il recupero e il mantenimento nel tempo, della fiducia della collettività in particolare degli investitori.

Ciò ha determinato la necessità di rafforzare, da un lato, i sistemi di regole e sanzioni di comportamenti devianti e, dall’altro, gli strumenti manageriali di gestione dei rischi.

Non è necessario che avvengano gli scandali per accorgersi dell’inadeguatezza di alcune delle norme emanate.

Certi eventi eclatanti che hanno coinvolto il mondo della finanza non devono stupire: essi nascono proprio da situazioni conflittuali che anche le nuove norme sembra abbiano sottovalutato.

Con l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del decreto legislativo che ha recepito la direttiva europea “ Markets in Financial Instruments Directive” meglio nota come MIFID 2004/39/CE e la successiva emanazione dei regolamenti Consob e Banca d’Italia, sono stati messi ulteriori paletti a difesa degli investitori.

Il nuovo sistema di regole, che disciplina il mercato finanziario, ha infatti riguardato: la tutela degli investitori, la stabilità degli intermediari, il buon funzionamento del mercato finanziario nonché l’osservanza delle disposizioni in materia di finanza.
Questi importanti strumenti di autoregolamentazione, calati all’interno di una precisa cornice normativa di riferimento, stanno contribuendo al miglioramento dei sistemi aziendali di control governance. Ma affinché questo processo virtuoso possa essere innescato è necessario che le funzioni aziendali di controllo siano in grado di promuovere un salto culturale che faccia assumere alle imprese il percorso nuovo da “persona giuridica” a ”persona morale”.

In questo contesto fortemente “normativizzato”, gli intermediari sono infatti chiamati ad assicurare “compliance”, vale a dire il rispetto delle disposizioni legislative e regolamentari, attraverso l’istituzione delle funzioni aziendali di controllo e di organi di conformità alle norme, di gestione del rischio e di revisione interna. Ma i responsabili della funzioni aziendale di controllo interno, a cui spetta il ruolo determinante della tutela dell’investitore, spesso si ritrovano loro malgrado isolati dal contesto aziendale con l’oneroso compito di garantire che il rispetto delle norme raggiunga un livello adeguato.

Il decreto legislativo 164/2007 che recepisce la Mifid, come la precedente normativa, detta delle linee guida ma rimette alla responsabilità degli intermediari le scelte organizzative per garantire trasparenza e correttezza nella gestione dei conflitti di interesse. Ma il primo elemento che può minacciare l’integrità dell’ambiente di controllo è rappresentato proprio da un’impropria configurazione organizzativa. La normativa che disciplina i mercati finanziari e tutela i risparmiatori se da un lato prevede responsabilità e relative sanzioni amministrative e penali per i soggetti che svolgono funzioni di controllo dall’altro nulla stabilisce per garantire l’autonomia e l’indipendenza degli stessi soggetti.
Il controller interno, che rilevi irregolarità commesse dai Vertici aziendali, ha la sola possibilità di percorrere le normali vie legali con i tempi e le incognite connessi al ns. sistema giudiziario e con il rischio di perdere immediatamente il posto di lavoro.

Il cortocircuito con il vertice aziendale può spesso risultare inevitabile qualora l’auditor ha l’obbligo, in osservanza a leggi e regolamenti, di comunicare i risultati delle attività ispettive sia agli organi di vigilanza interni (Consiglio di Amministrazione e Colleggio Sindacale) sia a quelli esterni (Consob e Banca d’Italia).

In tali situazioni, l’auditor interno,, tenuto a riferire anche ad una autorità esterna, come il rischio di essere percepito dalle funzioni aziendali (in particolare dai Vertici Aziendali) responsabili delle carenze organizzative e/o procedurali come un ruolo non integrato al sistema azienda. Se si vuole l’auditor interno sia veramente al servizio del bene comune, e in particolare degli investitori, è palese la necessità di interrogarsi su quale sia il giusto peso da attribuire all’indipendenza delle funzioni aziendali di controllo interno, ponendo una maggiore attenzione agli aspetti organizzativi con forte impatto sull’indipendenza della funzione di controllo interno e prevedendo altresì apposite disposizioni volte a dirimere eventuali controversie tra l’auditor interno e il vertice aziendale.

Nell’ottica di perseguire un’adeguata tutela del risparmiatore risulta pertanto auspicabile – analogamente a quanto è previsto per le controversie tra investitori ed intermediari dal recente decreto che ha dato attuazione all’art. 27 della legge a tutela del risparmio – che vengano emanate apposite disposizioni che disciplinino la risoluzione in tempi rapidi delle possibili controversie tra gli intermediari e i suoi internal auditor, soprattutto se portatori di responsabilità amministrative e penali.

Per esempio il regolamento attuativo del 29.10.2007 emanato dalla Banca d?Italia e dalla Consob ai sensi dell’art. 6, comma 2-bis, del testo unico della finanza stabilisce tra l’altro che “i responsabili delle funzioni di controllo interno non siano gerarchicamente subordinati ai responsabili delle funzioni sottoposte a controllo e siano nominati dall’organo con funzione di gestione, d’accordo con l’organo di supervisione strategica sentito l’organo con funzioni di controllo. Essi riferiscono direttamente agli organi aziendali”.

Ma che cosa significa riferire? Chi verifica se ci sono realtà aziendali dove questo termine viene interpretato come una semplice trasmissione di u documento al Consiglio d’Amministrazione dopo un’attenta supervisione e a volte modica imposta da un Direttore Auditing o da un Direttore Generale, a volte anche con deleghe sull’attività finanziaria? Inoltre, considerati i compiti assegnati all’organo strategico, di gestione e di controllo dagli art. 8,9,10 del suddetto regolamento, come può essere garantita l’indipendenza della funzione di controllo interno se i responsabili sono eletti dai sopraccitati organi? Chi verifica i potenziali conflitti di interesse all’interno di tali organi?

Sulla base delle norme dovrebbe essere, oltre alla stessa azienda, Banca d’Italia e Consob, ma tali istituzioni hanno le risorse e i supporti necessari per poter entrare nel merito di questi aspetti prima che avvengano gli scandali?

Già il precedente regolamento Consob prevedeva che la funzione di controllo fosse esercitata in piena autonomia ed indipendenza rispetto ai responsabili dei settori controllati. La lettera della legge era chiarissima nei propositi: all’art.57 del regolamento Consob attuativo del d.lgs 58/98 prevede che “il responsabile della funzione di controllo interno riferisce dei risultati della propria attività al Consiglio di amministrazione e al collegio sindacale. Nel caso in cui constati gravi irregolarità, il responsabile della funzione di controllo interno ne riferisce immediatamente al collegio sindacale il quale segnala senza indugio alla Consob e alla banca d’Italia le irregolarità riscontrate”

Ma chi decide quali sono le “gravi irregolarità” da segnalare? Al controller è veramente garantita indipendenza nella decisione? Da chi dipende gerarchicamente e funzionalmente il controller?

Sono domande a cui dovrebbe essere data una risposta se si intende veramente tutelare i risparmiatori dal primo e più importante livello di controllo rappresentato proprio dall’Internal Auditor e se si vuole eliminare a monte l’insorgere del dilemma etico: denunciare all’esterno le gravi irregolarità riscontrate – e quindi denunciare il proprio datore di lavoro – o tacere agli organi di vigilanza sulle irregolarità salvaguardando carriera e posto di lavoro.
Il rischio maggiore per l’auditor è proprio rappresentato da sovrapposizioni o conflitti di competenze nel sistema di controllo a causa dell’interferenza reciproca dei sistemi stessi.

Si può quindi affermare che regolamenti nuovi ma quesiti vecchi permangono per coloro che svolgono funzioni di controllo: devono privilegiare il vertice aziendale o tutelare invece i clienti dell’azienda che corrono concreti rischi di perdere ciò che hanno investito?

La scelta è inevitabile.

Anche il non scegliere è una scelta.


BILANCIO ETICO – SOCIALE:
strumento di sviluppo di “una rete etica per l’economia planetaria”.
1. Premessa


La dimensione sociale delle aziende sta sempre più diventando la base delle relazioni con gli stakeholder e uno strumento di massimizzazione degli asset intangibili delle aziende. In questa direzione vanno i bilanci etico-sociali che molte aziende già redigono unitamente al bilancio di esercizio al fine di rappresentare le politiche sociali verso cui l’azienda si indirizza e fare trasparire, attraverso appositi indicatori, il livello di eccellenza raggiunto in materia di responsabilità sociale d'impresa.
La responsabilità sociale d’impresa, di cui il bilancio sociale sta sempre più ricoprendo un ruolo ben maggiore di quello legato al solo soddisfacimento di una o di tutte la parti in causa, rappresenta infatti un vero e proprio valore aggiunto nell’economia aziendale. Proprio per questo motivo, compilare un bilancio sociale è in molti contesti un fatto più innovativo e concreto, ad esempio, che predisporre codici etici, che troppo spesso rischiano di venire ricondotti ad un’operazione di mero adempimento normativo.
Con il bilancio sociale si evidenziano non solo i risultati raggiunti e verificabili, ma si rappresenta quali politiche aziendali vengono perseguite, attraverso l’enunciazione degli obiettivi stabiliti e delle attività che sono poste in essere.
Si tratta quindi di un bilancio dinamico, in movimento, nel quale può essere inserito qualsiasi parametro che sia in grado di far direttamente comprendere e quindi condividere la politica che l’azienda persegue e, indirettamente, far trasparire attraverso indicatori di qualità il livello di eccellenza raggiunto sul piano operativo per perseguire una condotta responsabile. A questo riguardo giova sottolineare che nel bilancio sociale non si pone l’accento su come è stato creato valore aggiunto, ma su come viene distribuito.
Inoltre il bilancio sociale, in quanto strumento per valorizzare l’impresa, coinvolge in pieno il ruolo che i capi del personale (ed anche i direttori amministrativi e finanziari) possono svolgere per promuovere la responsabilità delle imprese, sollecitare e far proprie le preoccupazioni sociali ed ambientali, tracciare linee condivise di una gestione delle risorse umane che, essendo basata sulla fiducia, generi fiducia, all’interno come all’esterno dell’Ente.
Non solo, ma se attraverso il Bilancio etico - sociale ci si propone di rilevare e rendere evidente il risultato sociale che l’impresa ha ottenuto rispetto ai propri obiettivi, questo strumento costituirà uno degli aspetti centrali di gestione di un’impresa, anche sotto l’aspetto motivazionale. Sono infatti i dipendenti e collaboratori che per primi interagiscono e comunicano all’interno come all’esterno dell’ente e il sentirsi portatori di valori positivi e condivisi non potrà che essere per loro motivo di gratificazione e di stimolo.
Da quanto sopra si evince che la rendicontazione etico-sociale consente di perseguire molteplici obbiettivi:
q fornire informazioni e comunicazioni che permettano al mercato di valutare la performance etico-sociale raggiunta dall’azienda;
q migliorare il dialogo del management con gli stakeholder;
q identificare e quantificare l’impatto sociale delle attività d’impresa.

Il bilancio etico-sociale, avendo quindi lo scopo di mettere a disposizione delle persone interessate informazioni attraverso le quali misurare l’indice di socialità o responsabilità sociale d’impresa, può diventare una risposta positiva alle istanze sentite dal mondo produttivo e dalla società civile. Resta però aperto il dibattito su come detto bilancio etico possa tradursi in strumento operativo diffuso e condiviso.
Esistono già oggi esempi concreti e di pregevole livello di bilancio sociale nelle diverse forme ed impostazioni. È però evidente che in molti casi si tratta di prodotti “unici”, ancora molto sperimentali ed innovativi, basati sull’impegno diretto e sull’esperienza del management della singola impresa. D’altra parte, se il bilancio etico-sociale vuole, come noi tutti auspichiamo, diffondersi sempre di più, esso deve prima di tutto sostanziarsi sul piano metodologico. Non possiamo, d’altra parte, dimenticare come il bilancio etico possa costituire un forte elemento di proposizione positiva dell’immagine aziendale; proprio per questo, è necessario individuare strumenti che, in analogia a quanto avviene per il bilancio tradizionale, ne consentano una lettura ed un confronto il più possibile oggettivo, a tutela della collettività intera, ma soprattutto delle imprese che intendono effettuare un bilancio etico serio e rigoroso senza essere confuse con quelle che ne potrebbero realizzare di posticci ed approssimati per motivi di marketing e di “moda”.
Fermo restando che il bilancio etico, o meglio la sua certificazione da parte di un organismo competente, deve rimanere, a mio parere, un atto assolutamente volontario, occorre al contempo individuare metodologie e percorsi per pervenire a questa certificazione.
Anche l’Unione Europea continua a porre molto interesse alla certificazione di tali attività attraverso l’individuazione di alcune modalità applicative (parametri, etichette, indici di qualità, indicatori in genere), mediante le quali non solo si dovrebbe rendere trasparente il comportamento delle aziende nei riguardi della società, ma anche consentire un confronto tra le politiche sociali delle diverse aziende. Insomma, in tal modo si creerebbe una competitività positiva tra le imprese sul tema del messaggio da trasmettere alla collettività in relazione all’impegno sociale delle medesime.
Ora è chiaro che il solo fatto di pensare a diffondere un bilancio etico-sociale risulta di per sé un fatto positivo, a prescindere dai singoli contenuti e che, comunque, concorre ad accrescere, almeno per un certo tempo, la reputazione di un’azienda in relazione al grado di attenzione manifestato verso tematiche sociali ed ambientali. Ma sarà fondamentale la capacità che il messaggio ha di raggiungere e convincere una pluralità di soggetti indeterminati, con differenti preparazioni culturali o tecniche.
E’ ovvio che la costruzione di un indicatore richiede tempo e va verificata sul campo, ma soprattutto va posta in relazione ai parametri che per l’azienda sono premianti al momento della scelta.
Va anche detto che spesso la scelta degli indicatori è legata allo stato dell’arte della scienza e della tecnologia, cioè alla nostra conoscenza dei fenomeni che vogliamo misurare in un certo momento storico (scienza) ed alla possibilità di avere strumenti di misura adatti allo scopo (tecnologia).
Questo vuol dire che non sempre gli indicatori sono in grado di esprimere la qualità di un oggetto o di un fenomeno, ma solo di enucleare e misurare dei parametri oggettivi che ci aiutano nella scelta.
In questo scenario AISL_O (Associazione Italiana di Studio del Lavoro per lo Sviluppo Organizzativo) già da alcuni anni promuove iniziative finalizzate ad affiancare e condividere, non solo con i propri associati, ma anche con tutti gli interlocutori interessati, il cammino intrapreso, fornendo gli strumenti utili per integrare i temi della responsabilità sociale nel core business e nella gestione delle singole aziende e sollecitando la promozione di metodologie atte ad intercettare il bisogno di sostenibilità che proviene da imprese e cittadini.
Nel libro edito da Franco Angeli e intitolato ”Premesse ed evoluzione del Bilancio etico-sociale”, il socio AISL_O Giovanni Felici propone, come punto di riferimento per una proposta operativa, ovviamente da approfondire, di prendere in esame la normativa europea in materia ambientale per la parte che attiene alle procedure volontarie. In particolare appare idoneo ai nostri scopi il regolamento CE 761/2001 relativo appunto al sistema Emas di cogestione ed audit, che ha l’obiettivo di favorire, su base volontaria, un miglioramento delle performance ambientali delle organizzazioni, che vada oltre i meri limiti imposti dalle leggi (limiti che vanno comunque rispettati), mediante il miglioramento continuo delle prestazioni, l’instaurarsi di un rapporto fiduciario con istituzioni e pubblico e la partecipazione attiva dei dipendenti.
Il regolamento Emas attualmente vigente discende dal Regolamento CE 1836/93, al quale sono state apportate, sulla base delle esperienze in campo, sostanziali modifiche migliorative, per estendere l’area di applicazione di Emas dai soli siti produttivi industriali, alla totalità delle attività antropiche (alberghi, supermercati, ospedali, servizi pubblici, banche, aziende di trasporto, amministrazioni pubbliche ed altro ancora), e con l’includere nell’analisi ambientale iniziale anche gli aspetti ambientali indiretti, consentendo, quindi, la registrazione Emas del territorio.
Come bene specificato nel sito del Comitato Emas – Italia, l’organizzazione che intende aderire al Regolamento Emas è tenuta a seguire un ben preciso percorso operativo che prevede di:


- effettuare un’analisi ambientale iniziale;

- stabilire la propria politica ambientale (obiettivi, quadro di riferimento e target);

- elaborare il programma ambientaleattuare il sistema di gestione ambientale;

- effettuare l’auditing (valutazione sistematica, periodica, documentata e obiettiva);

- redigere la dichiarazione ambientale, rivolta al pubblico.

Il Regolamento stabilisce altresì che la dichiarazione ambientale sia sottoposta ad esame per la convalida da parte di un Verificatore Ambientale Accreditato, indipendente dall’impresa. A valle di questa convalida l’organizzazione può chiedere la registrazione da parte dell’Organismo nazionale competente e fregiarsi di un apposito logo.
Lo schema Emas, che ha riscosso notevole successo in Europa come strumento per il miglioramento delle prestazioni ambientali di organizzazioni di vario tipo, si presta, quindi, ad essere preso a modello, dal punto di vista della impostazione generale, per strutturare un sistema di verifica autorevole ed indipendente dei bilanci etico-sociali. Potranno, in tal modo, contemporaneamente essere assicurati, la tutela del pubblico (cui il bilancio sociale è diretto) e l’interesse delle imprese che il bilancio stesso redigono.
A mio avviso questa è l’unica strada da seguire se si vuole che il bilancio etico-sociale diventi uno strumento condiviso per lo sviluppo di una “rete etica per l’economia planetaria”.


Presentazione libro da “risorse umane a persone”
12.5.2009 – Intervista a Maria Grazia De Angelis
Presidente AISL_O


Quali sono secondo lei gli aspetti gestionali fondamentali che ogni organizzazione dovrebbe considerare per valorizzare in modo concreto e innovativo le persone?
L’economia classica guardava solo agli aspetti formali dell’organizzazione, fatta di strutture rigide, piramidi gerarchiche, processi estremamente burocratizzati, ovvero sistemi costruiti con precisione estrema e perseguendo l’unico obiettivo della massimizzazione del guadagno e della leadership di settore. Le organizzazioni erano viste come sistemi razionali da controllare e strutturare con la sola idea di renderle competitive sul mercato e vincenti nel lungo termine. Si era incuranti del contesto in cui agiva l’impresa e delle conseguenze sull’ambiente interno ed esterno all’organizzazione. Per non parlare del quasi totale disinteresse verso i dipendenti visti come gli ingranaggi di una enorme macchina. Tale visione ha rappresentato un approccio alle organizzazioni che prescindeva completamente dalla componente umana.
Così l’uomo dell’organizzazione per anni ha focalizzato la sua attenzione solo sui principali fattori che influenzano la produttività aziendale :
Ø la struttura organizzativa vale a dire l’organigramma e il complesso di norme che stabiliscono le competenze, i rapporti gerarchici e i meccanismi di attribuzione e integrazione delle competenze. Variabile hard per eccellenza è la prima per comprendere come è fatta l’azienda;
Ø i sistemi, ovvero i processi e le procedure formali e informali in base ai quali di giorno in giorno l’azienda funziona, ivi inclusi i sistemi decisionali, i sistemi informativi, le procedure contabili e di budget. Tra le variabili hard è quella che maggiormente influenza sia la produttività che l’efficacia in quanto più delle altre è strettamente correlata al comportamento degli uomini che in azienda lavorano.
Ø le risorse umane (staff), tutti i membri dell’organizzazione, considerati come “popolazione aziendale” e non come singole personalità. Si tratta di una variabile soft la cui delicatezza può essere particolarmente critica per dare concreta attuazione ai piani strategici
Solo in tempi recenti si è iniziato a comprendere come la componente “uomo” fosse invece uno degli elementi principali per la costruzione del successo. Soprattutto nell’ultimo decennio si sta assistendo ad un significativo cambiamento di paradigma, frutto della presa di coscienza da parte del management di come la componente psico-sociale all’interno dell’organizzazione abbia un’importanza determinante per il successo dell’impresa. E’’ ancora diffusa, per esempio, la convinzione che per ottenere maggiore coinvolgimento e soddisfazione del personale sia necessario e sufficiente riorganizzare l’azienda, seguendo per esempio l’approccio del business process reengineering. L’idea alla base è che, prevedendo una struttura fortemente decentrata, orientata ai processi e fondata sul lavoro in team, si agisca indirettamente anche sui comportamenti e sugli atteggiamenti del personale. In realtà spesso, se non si agisce prima sugli uomini l’introduzione di una nuova struttura organizzativa comporta un irrigidimento del personale, un abbassamento di soddisfazione e motivazione, e una difesa a oltranza dello status quo. Non è un caso che anche gli stessi ideatori di questo nuovo approccio abbiano sentito l’esigenza di sottolineare l’importanza di un ripensamento, non solo dell’organizzazione in senso stretto, ma dello stile manageriale e della cultura aziendale per il successo del processo di cambiamento.
Così sono stati individuati ulteriori fattori la cui interazione è in grado di influenzare non solo la produttività ma anche l’efficacia aziendale:
Ø la strategia, ovvero le azioni programmate e organicamente articolate il cui obiettivo è rispondere alle sollecitazioni e anticipare i cambiamenti dell’ambiente esterno per conseguire un vantaggio competitivo duraturo. Anche questa è una variabile hard e se ne rileva l’importanza purtroppo solo quando è troppo tardi;
Ø lo stile, il comportamento che contraddistingue i dirigenti nel loro complesso in relazione ad impiego del tempo, attenzione e azioni simboliche. E’ una delle variabili cosiddette soft e si può considerare la prima di quelle che possono rendere un ambiente di lavoro più o meno gradevole e quindi più o meno produttivo;
Ø le capacità (skills) le capacità di cui dispone l’azienda nel suo complesso, considerate separatamente da quelle dei singoli. Trattasi di una variabile soft legata da un evidente nesso di reciprocità con il fattore risorse umane. Alcune aziende compiono imprese straordinarie pur contando su risorse umane tutt’altro che eccezionali
Ø il sistema dei valori (obiettivi); le idee di ciò che è giusto e auspicabile (nel comportamento dell’azienda o del singolo) che informano l’organizzazione e sono condivise dalla maggioranza dei suoi membri. Come vedremo in seguito questa variabile soft è in realtà quella che nei momenti critici si rileva l’arma vincente.
AISL_O chiaramente non ha dimenticato l’importanza anche degli altri fattori e ha organizzato il 25 novembre 2008, presso Civita p.za Venezia 11, un convegno “Project management e sviluppo organizzativo: semplificazione o complicazione?” ma nel corso degli eventi successivi ha enfatizzato la componente uomo, proponendo incontri volti a migliorare la leadership e l’empowerment da singola persona operante in azienda

Quali sono secondo lei gli aspetti gestionali fondamentali che ogni organizzazione dovrebbe considerare per valorizzare in modo concreto e innovativo le persone?
· Formare i capi al saper essere ( problem solving, gestione tempo, e conflitti, negoziazione, comunicazione interpersonale e mediatica) oltre che al saper fare,
· creare momenti di contatto istituzionalizzati tra personale e Direzione Risorse Umane.
· Definire obiettivi e strategie chiare e condivise dal top management.
· Un maggiore ascolto da parte della Direzione del Personale del suo maggior stakeholder , attivando controlli volti a valutare la “human satisfaction”.
· Chiarezza di ruoli compiti e responsabilità
· Idea n. 53 “una settimana da amministratore delegato” Cosa fareste in e per l’azienda se per una settimana sedeste sulla poltrona del capo?
Nel libro ho trovato di massimo interesse le proposte operative indirizzate alle classi dirigenti del nostro paese
Pag. 156 proposta 4 - Formazione professionale per deputati e senatori
Proposta n. 9 sgombrare la mente dai pregiudizi e stereotipi
Proposta 10 tutti uniti in un’affermative action “abbiamo bisogno di positività e di incoraggiamento, di sviluppare visioni ottimistiche della realtà e del suo futuro, di realizzare una cultura meritocratica e di una vera uguaglianza sociale che non è quella dei contratti collettivi e dell’istruzione uguale per tutti.”
E la frase di George Bernard Shaw con cui l’autore conclude il libro “ E’ solo la nostra stoltezza che ci impedisce di trasformare il mondo in un piccolo paradiso”

Un saluto e un ringraziamento, anche da parte del consiglio direttivo AISL_O, a tutti i soci e simpatizzanti AISL_O intervenuti alla presentazione del libro di Stefano Greco “ Da Risorse Umane a Persone”.